Psicoterapia e Tossicodipendenza: il ruolo della famiglia

La tossicodipendenza viene definita dal DSM V (Manuale Diagnostico Psichiatrico, 2014) come un insieme di comportamenti, reazioni psicologiche e processi psichici che si instaurano successivamente all’utilizzo cronico di sostanze (sia “droghe” permesse, come l’alcool ed i farmaci, che illegali).

Da un punto di vista descrittivo, ciò che caratterizza la tossicodipendenza è:

  • L’impulso irrefrenabile nella ricerca e nell’assunzione della sostanza;
  • Lo scarso controllo nel rapporto con la stessa;
  • Sintomi di astinenza nel momento in cui la sostanza non è disponibile;

Questa descrizione ci dice, comunque, molto poco sulle cause del disturbo e sulle modalità di intervento con persone tossicodipendenti. Una dipendenza può essere il prodotto di numerosi fattori, che spesso agiscono in sinergia: aspetti sociali, psicologici individuali, culturali, relazionali e familiari. Qui ci occuperemo prevalentemente di questi ultimi, evidenziando alcuni contributi che la terapia familiare può offrire nella cura alla tossicodipendenza.

Accenni di Terapia Familiare

La terapia familiare non è un approccio unitario, ci sono numerose scuole di pensiero, ognuna delle quali pone l’accento su aspetti diversi della famiglia, sia dal punto di vista della genesi del disagio che della possibilità di intervento sullo stesso.

Alcuni approcci pongono maggiormente l’accento sulla comunicazione, evidenziando come una comunicazione indiretta ed ambigua sia spesso presente in famiglie problematiche e/o con pazienti psichiatrici.

Altre linee teoriche sottolineano l’importanza della dimensione storica, ritenendo fattore fondamentale alla nascita della psicopatologia la presenza di miti familiari (particolari storie o simboli che rappresentano la famiglia, i quali non sono stati rielaborati) o di modalità di concepire ruoli genitoriali e filiali essenzialmente distorti e generatori di dolore.

Infine, l’ultimo modello teorico si concentra prevalentemente sul concetto di struttura, ponendo l’attenzione sugli slittamenti gerarchici dei ruoli familiari (figlie che si mettono a svolgere la funzioni madri o nonni che si comportano ancora come figli ecc.); ciascuna di queste chiavi di lettura non esclude l’altra e nel nostro ragionamento proveremo a sintetizzarle tutte.

Famiglia e Tossicodipendenza

E’ bene precisare fin da subito che il sottotitolo è fuorviante. Come non esiste un unico copione per spiegare la dipendenza da sostanze, non ci può essere un unico modello familiare alla base del problema. Quello che vogliamo mostrare è un assetto familiare frequente e/o una chiave di lettura utile ad affrontare e prevenire questo tipo di disagio.

Dunque, come spiegavamo sopra, la famiglia può essere interpretata come un sistema dove uno degli obiettivi principali è quello di favorire lo sviluppo psicologico e sociale dei suoi membri. Infatti le crisi individuali, la comparsa dei sintomi, sono spesso correlabili con fasi critiche e particolari momenti di passaggio nella vita familiare (l’adolescenza, l’uscita dei figli dal “nido”, la morte di uno dei componenti, ecc). In questi momenti di passaggio è fondamentale per la famiglia ristrutturare i modelli relazionali preesistenti, trovandone di nuovi (ad esempio cambiare il rapporto con figli già grandi, rinvigorire la relazione di coppia quando i figli escono di casa, saper limitare le intrusioni delle famiglie di origine in corrispondenza di un lutto o di un “semplice” pensionamento).

La presenza di un sintomo importante, come la tossicodipendenza, consente alla famiglia di non doversi confrontare con nuove modalità di interazione, di evitare l’angoscia che proviene dal cambiamento, di congelare i ruoli così come sono.

Il figlio che fa uso di sostanze, in un certo senso, si dichiara immaturo, irresponsabile ed incapace di assumere un ruolo adulto, consentendo ai genitori di non congedarsi dalla loro funzione di protezione e guida.

A questo proposito possiamo citare un dato statistico interessante, ovvero che il 95% dei casi di tossicodipendenza si sviluppa tra i 15 ed i 24 anni (Rossi, 2009). Dalla nostra prospettiva questo ci dice che le esordio della dipendenza si situa tra due fasi estremamente importanti del ciclo evolutivo familiare:

  1. La famiglia con adolescenti: in questo momento i genitori si trovano a dover negoziare con i figli una relazione oscillante tra due poli opposti di autonomia e di dipendenza. Questa negoziazione (tutt’altro che semplice) si fonda sull’ambiguità adolescenziale tra bisogno di autonomia e di libertà.
  2. La famiglia come “trampolino di lancio”: in questa fase la prole esce da casa, pronta a costruirsi una vita più autonoma e questo comporta una duplice negoziazione: all’interno della coppia (che a più tempo per se stessa); tra genitori e figli, ossia tra le generazioni dove la “nuova” si incammina verso l’adultità e la vecchia sulla via dell’anzianità.

In presenza di una dipendenza, il consueto ciclo evolutivo si arresta. I modelli relazionali non cambiano e l’intera famiglia si trova a reiterare lo stesso schema di rapporti all’infinito, generando disagio e sintomi. Il tossicodipendente diviene una sorta di regista che ribadisce, con il suo disagio, l’impossibilità che l’intera famiglia ha di cambiare. Ne deriva che, da un vertice sistemico, la dipendenza da sostanze non sia un attacco al sistema familiare ma una sorta di atteggiamento protettivo che il tossicodipendente ha nei confronti dei membri spaventati dalle sfide che il cambiamento impone loro.

Considerazioni finali

Quanto appena scritto ci permettere di capire come un intervento veramente terapeutico nei confronti della dipendenza non possa essere esclusivamente farmacologico. E’ vero che la sostanza agisce sulla chimica celebrale come è vero (molti studi lo evidenziando) che l’equilibrio biologico di un abusatore di sostanze è alterato. Tuttavia, la dipendenza non è il disagio ma la conseguenza di una crisi sia individuale che familiare e questo rende imprescindibile che un’azione psicoterapeutica sia rivolta contemporaneamente alla persona e alla famiglia in cui essa è inserita per rendere l’aiuto efficace. In particolare l’intervento familiare dovrebbe agire su tutti e tre i livelli critici in cui una famiglia può scivolare: comunicazione, rielaborazione storica e struttura.