Matrimonio oggi, quali cambiamenti?

Ho deciso di scrivere una serie di post che ponga al centro il matrimonio, nelle sue varie sfumature e caratteristiche. In questo voglio affrontare il tema del cambiamento che ha investito l’istituzione matrimoniale negli ultimi decenni.

Il matrimonio costituisce l’atto ufficiale che rende visibile e socialmente riconosciuta la coppia. La ritualità (cerimonia religiosa o civile che sia) che lo accompagna, presente, anche se in forme diverse, in tutte le culture umane, ne rappresenta l’importanza, poiché attraverso questo passaggio nasce una nuova entità, la coppia coniugale, la quale costituisce l’embrione di un progetto generativo più ampio che porta alla nascita dei figli.

Nel corso del tempo la concezione del matrimonio ha subito un radicale cambiamento. Ad oggi possiamo pensare alla relazione coniugale come caratterizzata da una ritualità debole (Scabini e cigoli, 2000); vediamo di spiegare meglio questo concetto. Dall’inizio dell’epoca moderna il matrimonio non si fonda più sull’alleanza tra le famiglie di origine dei coniugi, le quali storicamente hanno avuto una forte influenza sulla fattibilità del matrimonio dei figli e sulla scelta del partner da sposare. Attualmente il matrimonio assume sempre di più il significato di un’impresa personale, che vede al centro la coppia e la sua relazione. L’importanza dei “legami di sangue”, della fedeltà nei confronti della famiglia allargata, acquista sempre minor peso. La vera importanza per la stabilità e la durata del legame matrimoniale è attribuita al legame sentimentale ed affettivo di coppia; per la qualità della coniugale coppia diviene sempre più importante il permanere di un’attrattiva sessuale, di una comunanza di interessi e di un coinvolgimento affettivo.

A dimostrazione di quanto sostenuto sta il fatto che lo stesso fidanzamento, come periodo di fondamentale importanza per la buona riuscita del matrimonio proprio per la possibilità che garantiva nel costruire un’alleanza tra famiglie, ha perso quasi del tutto il suo peso “allargato”, divenendo sempre di più un patto tra due individui. Attualmente, anche all’interno delle “terapie di coppia” (oggetto tra l’altro sconosciuto fino ad una trentina di anni fa), si attribuisce sempre più importanza all’intimità tra i partner, che è definibile come la capacità che ognuno dei membri possiede di manifestare all’altro ciò che prova, pensa e sente, insieme alla propensione a mostrarsi empatico ed in grado di fornire sostegno e attenzione.

Quanto scritto ci fa capire come la relazione coniugale sia investita di aspettative molto elevate e difficilmente sostenibili, che la rendano più fragile che in passato. Come evidenzia l’ISTAT, in Italia, il numero dei divorzi e delle separazioni è più che raddoppiato dal 1995 al 2010. Attualmente ci sono il 30% delle separazioni ed il 20% dei divorzi ogni 100 matrimoni. Riteniamo che sia il “sovraccarico” delle attese attribuite alla coppia che la rende più debole e più soggetta a delusione da parte di chi la fonda.

Un altro aspetto che sembra confermare questa conclusione è il fatto che ci sposiamo sempre di meno (il numero delle coppie che si sposa è calato in media dell’1,5% all’anno negli ultimi 20 anni), mentre aumenta in modo considerevole il numero delle unioni libere (quelle che vengono chiamate nel contesto politico attuale le “coppie di fatto”). Infatti, il diffondersi delle convivenze, dato in aumento in molti paesi europei, può essere interpretato come un tentativo di fondare la coppia più sugli aspetti affettivi (appunto intimità, reciprocità, comunanza di obiettivi) che su quelli etico-morali, rappresentati dal matrimonio (stabilità e durata nel tempo).

Concludo dunque questa breve riflessione ribadendo come la maggiore attenzione agli aspetti emotivi e relazionali della coppia, sebbene l’abbia resa più viva, passionale, fluida e paritaria, ha anche generato un suo inevitabile indebolimento. Forse anche noi come psicologi dovremmo concentrarci un po’ di più sugli aspetti di vincolo e di impegno, che la formazione di una coppia comporta, piuttosto che esclusivamente su quelli affettivi ed emotivi.

6 Risposte a “Matrimonio oggi, quali cambiamenti?”

  1. Dove sta andando la Famiglia Italiana?
    Sono le mamme Italiane le più vecchie dell’Ue
    Matrimoni sempre più fragili, aumentano le separazioni

    Leggendo “La Stampa” di ieri (28/05/2013), mi sono imbattuto in questi due articoli che fotografano la situazione delle famiglie italiane. L’età in cui le donne partoriscono il primo figlio si sta alzando, e le famiglie non si formano più come una volta e durano di meno.

    In freddi numeri, del 2011, la situazione è questa:
    Circa 200.000 matrimoni all’anno (erano 290.000 nel 1995) (nel 2011 i matrimoni celebrati con entrambi gli sposi Italiani sono stati “solo” 178.000)
    Circa 80.000 separazioni all’anno (erano 52.000 nel 1995)
    Età media del matrimonio: 30 anni per le donne, 35 anni per gli uomini
    Età media delle partorienti il primo figlio da 29 a 35 anni
    Media di numero di figli per donna, nel 2011 è stata di 1,42, ancora molto al di sotto della soglia di 2,1 che permette la costanza della popolazione.
    Il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio.
    Il 90,3% delle separazioni di questo tipo ha previsto l’affido condiviso dei figli.
    Nel 19,1% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge, nel 98% dei casi corrisposto dal marito.
    Nel 57,6% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,9% al marito mentre nel 18,8% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale.

    Da questi freddi numeri qualsiasi analista serio ammetterebbe che la nostra società sta andando rapidamente alla deriva.

    Le statistiche vanno registrando da qualche decennio il progressivo calo dei matrimoni e del numero dei figli, qualcuno indica la responsabilità, con particolare (e ironico) riguardo, alla ritrosia dei giovani maschi a distaccarsi dai genitori per fondare una nuova famiglia ed a “prendersi le proprie responsabilità”.

    La parola stessa “matrimonio” deriva dal latino e significa “interesse della madre”, in effetti, fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la donna era sotto la “tutela” del marito e lui aveva l’obbligo di mantenerla, nonché la daonna aveva la certezza che il “patrimonio” dell’uomo passasse ai suoi figli, magari concepiti con l’amante mentre il marito era lontano, precludendolo ai figli di lui avuti da altre donne “fuori dal matrimonio”, differenziando i figli “legittimi” da quelli “naturali”.

    Gli uomini, oggi, continuano a sposarsi del tutto ignari di ciò a cui vanno incontro, ignoranti sugli aspetti sociologici e, soprattutto, legali, come se la riforma del 1975 non fosse stata mai introdotta.
    Alcuni credono che con la “separazione dei beni” le loro proprietà e risorse economiche siano al sicuro, altri pensano che con l’affidamento condiviso gli sia garantito il rapporto con i figli in caso di separazione.

    Molte sono le richieste di frange minoritarie della società che richiedono la legislazione sulle convivenze, il matrimonio tra persone dello stesso sesso compresa la possibilità di adottare bambini, senza aver cura di analizzare le cause del costante calo del numero dei matrimoni ed il costante aumento del numero delle convivenze. Tutti vogliono ottenere, anche per loro, i famosi “diritti”, ma quali diritti? Il diritto ad assistere il convivente malato? No di certo, il diritto all’eredità ed al mantenimento in caso di rottura della convivenza o matrimonio (andate a leggere le varie proposte di legge sui DICO), ma per ogni diritto acquisito da una parte, esiste un dovere per l’atra.

    Oggi il matrimonio, nel sistema attuale del diritto di famiglia, è, per i padri, la base di un contratto in cui normalmente, alla rottura, perdono i loro figli in cambio del finanziamento della distruzione della propria famiglia.
    Non fatevi illudere dalle fredde statistiche, il 90% di affidamento condiviso dei figli non equivale automaticamente a che ogni genitore provvede direttamente ai bisogni dei propri figli passando con loro il 50% del tempo, o che il 20% di assegnazione della casa famigliare(1) ai padri equivale ad una remota possibilità che la casa di vostra proprietà rimanga nelle vostre disponibilità.

    L’applicazione delle attuali legge, secondo la prassi rimasta invariata, nei tribunali, prevede la “collocazione” dei figli presso la madre, nella casa familiare a lei assegnata, ed il contributo mediante assegno al mantenimento dei figli a carico del padre.
    Il matrimonio, e la convivenza dalla riforma della legge 54/2006, divengono così un accordo NON basato su uno scambio reciprocamente favorevole, ma solo un contratto che serve come presupposto legale per un divorzio in cui la madre ottiene (quasi) sempre la casa ed i figli, ed il padre ottiene una sentenza con l’espulsione dalla famiglia ed un assegno di mantenimento da pagare.

    La paternità si è transformata (o è sempre stata?) così in un obbligo unilaterale per l’uomo, senza alcun ritorno, anche solo affettivo, per quest’ultimo.

    Anche per molte donne la riforma non è mai stata introdotta e l’emancipazione dalla tutela è troppo impegnativa da raggiungere. Oggi, come un tempo, appare spesso che, per donne svagate o intraprendenti, il matrimonio sia considerato come la vittoria di un concorso o un contratto di assicurazione. Da una statistica apparsa su una rivista femminile di qualche anno fa, si evince che “solo” il 14% delle donne si sposa per amore, le altre per motivi economici o per “scappare” dalla casa familiare e ritenersi “libere”.

    Tutti gli uomini, ed anche le donne, dovrebbero sapere che l’innamoramento dura al massimo 18 mesi e l’amore 7 anni, altrimenti non sarebbe stato imposto, nei millenni passati, per legge o per etica religiosa, l’indissolubilità del matrimonio.

    Molti sono convinti che questo importante nucleo sociale, qual è la famiglia, debba essere tutelato e incoraggiato al massimo, ma nessuno indica con quali strumenti e che tale risultato possa conseguirsi soprattutto con un’adeguata formazione dei giovani e con un buon orientamento dei suggestivi mass-media. Ma sopratutto un saggio assetto giuridico, e l’applicazione delle attuali leggi secondo i mutamenti sociali e del costume può avere il suo peso nel miglioramento dei rapporti familiari ed invogliando i giovani, evitando di contribuire alla distruzione di un istituto così prezioso per le nuove generazioni e per tutta la società.

    La nostra società dovrebbe proteggere i diritti dei padri alla cura ed alla custodia dei propri bambini. Una società che non riesce a proteggere i diritti del padre, perde l’autorità morale per chiedere a quest’ultimo di onorare le sue responsabilità.

    Basterebbe iniziare con poco, variare l’articolo 31 della Costituzione, inserire le parole “e paternità” a fianco di “maternità”.

    Fino a quel momento, giovani uomini e non più giovani, evitate di sposarvi e convivenze con figli in case di vostra proprietà. Salverete, almeno, la casa e la possibilità di dover mantenere una sfaccendata disoccupata che si definisce “casalinga”.

    LJD

    (1) L’assegnazione della casa famigliare è legata al “collocamento” ed all’interesse dei figli minori o non ancora indipendenti economicamente. I figli sono collocati prevalentemente presso la madre, per cui la casa, salvo (onerosi) accordi tra le parti ed indipendentemente da chi è il proprietario, è assegnata alla madre.
    http://www.questionemaschile.org/?p=63#more-63

  2. Precisazione puntuale,
    anche se un po’ di “parte”. Deriva da una esperienza personale? Scusi se mi permetto.
    In ogni caso il problema, a mio avviso più cogente, all’interno di logiche “battagliere” come la sua è il futuro dei bambini, se ci sono….
    Vivere in un clima di tensione come quello che emerge dal suo commento può essere estremamente deleterio per lo sviluppo.
    Purtroppo nel mio lavoro questo è pane quotidiano….

    Francesco Mori

  3. La domanda e l’argomento sono “Matrimonio oggi, quali cambiamenti?”… mi sembra che il mio scritto ne metta in evidenza molti, alcuni già evidenziati e raccolti, da me, anche per esperienza personale, e da altri uomini, in di una quindicina di anni, molto in anticipo rispetto alla sua recente domanda.
    Per ottenere una risposta basta togliere la parola “forse” all’ultima frase del suo articolo. Nessun contratto di tipo legale, quale è il matrimonio, è basato su aspetti affettivi o emotivi, proprio perché facilmente volubili.

    Non è che anche Lei si è accorto di una società troppo “femminilizzata”, in cui hanno preso troppa importanza l’appagamento dei desideri e l’emotività del momento?
    Eppure la mia affermazione che “ l’innamoramento dura al massimo 18 mesi e l’amore 7 anni” l’ho letta nel 1998 su un libricino di psicologia sui rapporti di coppia, di cui non ricordo l’autore ed il titolo.

    Cosa hanno fatto gli psicologi, per fare in modo che le unioni, specialmente in presenza di figli, durino oltre i fatidici e teorici 7 anni in tutto questo tempo per contrastare la fragilità delle unioni?

    Io ho qualche anno in più di Lei, quando ho iniziato a lavorare, 35 anni fa, quando un collega criticava la moglie, subito interneviva un collega più anziano che lo zittiva e gli ricordava che stava (s)parlando della madre dei suoi figli, oggi dalla pettinatrice una donna (s)parla del marito e le amiche le consigliano di sbatterlo fuori di casa e di ridurlo in mutande sotto i ponti.

    Il futuro dei bambini rispecchierà l’orientamento e la direzione presa della società adulta odierna in termini sociali.
    Qualsiasi bambino un giorno sarà un uomo adulto, padre o marito, a cui possono essere tolti gli affetti dei figli, la casa e parte delle sue entrate.
    Se lei vede nel mio scritto, pubblicato sul blog sulla Questione Maschile, una logica “battagliera”, me ne compiaccio, è proprio l’impressione che volevo apparisse.
    Mi chiedo cosa possa fare uno psicologo per allievare un clima di tensione (all’interno di una famiglia) dove la tensione è creata ad arte dalla donna che ha tutti gli interessi (economici) e le difese giudiziarie e sociali per ottenerli ed espellere l’uomo dalla famiglia.
    Certo che doversi guadagnare il pane quotidiano grazie al clima di tensione può giustificare (l’associazione degli psicologi) a non prendere posizione autorevole e contraria a tutte le cause che contribuiscono a creare questo clima di tensione.

    1. Non estremizziamo.
      L’amore non dura 7 anni, l’innamoramento non dura 18 mesi.
      Queste sono vecchie posizioni, che hanno molto a che fare con la psicologia da bar e poco con la professione.
      Un rapporto dura se c’è capacità di rinnovamento, nel tempo la coppia sa riequilibrarsi.
      Certo, come lei afferma, le generazioni passate davano molta più importanza agli aspetti di contratto coniugale rispetto al benessere affettivo della coppia. Anche questa prospettiva aveva il suo rovescio della medaglia, rendendo uomini e (soprattutto) donne prigionieri di un non-rapporto.
      Un rapporto fondato unicamente sugli aspetti “etici” è rigido.
      La questione, credo, sia stata quella di uno spostamento massiccio sul versante affettivo/emotivo, che invece di essere integrato ha soppiantato quello dell’impegno.
      La difficoltà che la coppia ha di durare è legata alla complessità insita nel mantenere un equilibrio tra l’istanza affettiva e contrattuale.

  4. Il matrimonio è un contratto e deve essere, di conseguenze, rigido, altrimenti si può rompere per una qualsiasi inezia, come sta avvenendo.
    I naturali effetti alla causa della facilità di rottura del matrimonio sono che i giovani maschi non si sposano con la frequenza di una volta, ed addirittura anche le femmine dichiarano, a parole, il desiderio di non sposarsi, nonostante nelle statistiche, il formare una famiglia, sia il primo desiderio tra i giovani.

    Si, a ragione, l’amore non dura sette anni e l’innamoramento non dura 18 mesi, possono durare anche di meno, per imprecisione mi sono dimenticato di scrivere che questi numeri sono la media. Che siano vecchie posizioni non vuol dire che siano errate. D’altronde la psicologia non è una scienza esatta. Quello che Lei afferma oggi può essere ritenuto “una vecchia posizione” tra alcuni anni.
    Nel libricino di psicologia cui facevo riferimento c’erano le sue stesse affermazioni, per durare la coppia deve sepersi adattare ai cambiamenti mantenedo l’equilibrio senza che ognuno dei componenti debba rinunciare ai suoi “spazi”.

    La nascita di un bambino rompe tutti gli equilibri preesistenti e richiede molte rinunce agli spazi, anche privati, dei genitori.

    Io non sono uno psicologo, ma ho riscontrato nella mia vita quello che gli psicologi scrivono, e, anche se è vero che ogni storia è diversa dalle altre metto in evidenza questo scritto da una sua collega: “Accade che la separazione avvenga per l´incapacitá dei membri di dare connotati congrui ad una situazione dinamica quale l´evolversi di un sistema familiare. Si intende gestire un sistema familiare in maniera uguale e statica nel tempo. Nella nostra cultura è la donna che tende ad evitare di riconoscere il cambiamento che avviene con la maturazione dei componenti del sistema familiare, appiattendoli in un sistema omeostatico dove i sistemi regolatori devono diventare sempre più rigidi e sofisticati. Anche dopo la separazione la donna difficilmente rinuncia a questa sua compulsività regressiva e, richiamandosi ai valori pseudo-morali che spesso la nostra società sostiene, si proclama unica tutrice dei veri e profondi valori familiari e di coppia. ” da “Difficoltà della figura paterna nella dinamica di coppia con particolare rilievo al momento della separazione” della Dr. Mariagloria Campi.

    Lei afferma che erano “sopratutto” le donne che erano prigioniere di un rapporto, relegando ancora una volta le donne al ruolo di vittime di una società patriarcale che da dopo il 1968 è stata descritta come se tutti i suoi aspetti fossero negativi e rendessero le donne il “genere” sottomesso e schiavizzato. Non le debbo certo insegnare io il potere delle donne nelle relazioni dovuta alla naturale forte dipendenza maschile, e la conseguente debolezza psicologica, che ne deriva. In quale società avviene che il padrone lavora e muore al posto degli schiavi? Se guardiamo chi, nella nostra società, svolge i lavori più umili, pericolsi e malsani, se leggiamo le vittime di chi è stato inviato in guerra, le vittime di infortuni sul lavoro e per cause di servizio, la disapprovazione sociale verso chi non produce reddito, verso chi lascia un partner, verso chi genera violenza, forse ci accorgiamo che il vero potere non è certo in mano maschile. Ma questo è fuori tema ed a Lei certo non interessa approfondire.

    Però la psicologia “da bar” dice anche: “il matrimonio è la causa principale del divorzio” e Friedrich Nietzsche affermava “Se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti”…. si, capisco … sono vecchie….

    Per rimanere sul nuovo e sul futuro le metto in evidenza questo articolo:
    http://www1.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201009articoli/58330girata.asp
    “Il columnist cita le preoccuparti stime dell’istituto di ricerca tedesco Max Plack secondo cui la strada intrapresa dall’Italia condurrà entro la fine del secolo ad un drastico calo della popolazione, ridotta ad una decina di milioni di persone, poco più, poco meno.”

    Non può più stare tranquillo, da qui a molti a venire gli psicologi avranno sempre meno bambini da curare.

    1. Sembra ne faccia una questione personale…. Forse lo è.
      Stiamo al gioco dunque.
      Ciò che la psicologia ritiene, questo da decenni, è che le rotture relazionali non sono attribuibili ad una sola parte in causa. Attribuire al genere femminile chissà quale valore distruttivo, mi sembra non solo superficiale ma anche una sorta di fuga dalle responsabilità.
      In ogni caso leggere un libro o dieci o cento di psicologia non significa conoscerla, come tra l’altro mi sembra nel suo caso.
      Un patto coniugale rigido inoltre, oltre ad essere evidente fonte di sofferenza per entrambi i partner, implica una devitalizzazione della coppia stessa. Concordo con lei che attualmente il patto è sempre più fragile, privo di impegno ma non vedo perché si debba stare necessariamente in una logica fragile/rigido, senza vie di mezzo.
      Quello che dice rispetto al potere…. beh credo si possa aprire il dibattito. In ogni caso quando in un rapporto si parla principalmente di potere c’è qualcosa che non va. Faccio anche io la mia dotta citazione narcisistica: “l’amore non vuole avere, vuole soltanto amare”, Hesse. Certo è che una donna ogni due giorni muore per mano di un uomo…. ho quasi timore di sapere che ne pensa

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