MMPI-2 quali necessità per la psicologia

Il Minesota Multiphasic Personality Inventory, la cui prima versione nasce nel 1949, soprattutto grazie al lavoro di Hathway, è uno dei più noti strumenti per la valutazione della personalità. Esso si fonda sulla sulla classificazione psichiatrica proposta nel primo novecento, fornendo informazioni sulle caratteristiche “stabili” della persona e sulla presenza di eventuali sintomi clinici. L’MMPI, oggi arrivato alla sua seconda versione (MMPI-2), è stato pensato per la sempre più frequente necessità di giungere in breve tempo ad una diagnosi “oggettiva”, che possa essere elaborata anche da non esperti del settore, grazie alla presenza di numerosi software che elaborano i dati estrapolati dai 567 item (domande dicotomiche vero/falso) che lo compongono. Ho utilizzato a lungo questo strumento e mano mano che elaboravo ed studiavo grafici la mia perplessità aumentava.

Posso individuare due fondamentali ordini di problemi, il primo legato a questioni che nascono dentro l’accettazione dei concetti di personalità e di salute/malattia su cui l’MMPI si fonda; il secondo connesso con un’idea diversa di psicopatologia, che non si basa sulla classificazione psichiatrica ma su una concezione “contestuale e culturale” dei “problemi psichici.

  • Relativamente al primo punto, è interessante notare come l’uso massiccio della statistica sia essenzialmente connesso con il “bisogno di scientificità” che ruota attorno alla psicologia, da parte di certe scuole di pensiero che vogliono collocare la psicologia all’interno delle scienze naturali. Se la psicologia non è una scienza non è “valida”, se non ci sono riscontri “oggettivi”, leggi generali e rapporti lineari di causa effetto, come è possibile la sua efficacia. Ne consegue che la sola significatività statistica possa rendere la psicologia una scienza. Mi pongo tuttavia due interrogativi; perché è così importante che la psicologia sia nobilitata a scienza? E’ possibile pensare la psicologia in questo modo? In secondo luogo è possibile porsi domande di ordine psicologico ottenendo risposte su base statistica? Che senso domandarsi se un individuo è “isterico” (Hy) o “depresso” (D) desumendo questo da un punteggio T.
  • Rispetto al secondo punto, i miei dubbi sono legati soprattutto ad aspetti epistemologici piuttosto che metodologici. Vale a dire ha senso parlare di caetgorie diagnostiche? Ha senso pensare ad una psicologia sperimentale, in cui lo sperimentatore è in grado di controllare tutte le variabili in gioco, escludendo di fatto la relazione? Ritengo non solo che ogni categoria sia il frutto di una reificazione, di una costruzione sociale per cui le stesse scale intese come aspetti descrittivi dell’individuo perdono di senso, ma anche che l’oggetto di studio della psicologia sia lo specifico sistema relazionale, sia micro che macro, in cui l’individuo si sviluppa ed impara ad attribuire e costruire significati nel/al mondo esterno.

Lancio questi due interrogativi alla luce di un pressante ritorno del “realismo” non solo in psicologia ma in generale nelle diverse discipline umanistiche. La realtà psicologica può essere desunta da un grafico? A questo punto quali sono le differenze tra la psicologia e la psichiatria?