Le trappole dell’identità moderna

Che cos’è l’identità di una persona? La risposta più semplice è: riconoscersi ed essere riconoscibile.

Giovanni Jervis, 1997

 

Sembra che l’emozione più frequente tra i “giovani postmoderni” sia la rabbia; rabbia per il lavoro non all’altezza delle aspettative, rabbia per la relazione con il compagno/a; rabbia per la stupidità dei colleghi o dei capi; rabbia nei confronti dei genitori che non li capiscono.

Rispetto a quest’ultimo punto, sempre più spesso, accade che giovani adulti, usciti dalla casa dei genitori vi rientrino per situazioni di bisogno economico, sostegno affettivo, incapacità di affrontare la vita da soli. In queste circostanze la ripresa della vita di famiglia è fonte di sofferenza per tutte le parti in gioco: da un lato i genitori non riescono a comprendere le ragioni del dolore dei figli; dall’altro i figli soffrono il fallimento di un’idea “adulta” ed indipendente della vita.

In molte occasioni il problema è stato presentato da opinionisti, media, sociologi, psicologi in modo riduttivo; come se fosse il prodotto esclusivo di una situazione economica sfavorevole o della debolezza di carattere degli stessi giovani. A mio avviso tali superficiali posizioni non riescono a cogliere la complessità di un fenomeno che potremmo definire culturale. Attualmente sono i genitori che avvertono meglio la profondità del cambiamento contestuale e storico; sempre più spesso si incontrano nella pratica clinica padri e madri incapaci di “riconoscere” i propri figli. Per comprendere meglio che cosa sta succedendo ai giovani adulti “di oggi” è necessario prendere in considerazione un potente ed attuale ideale etico: l’unicità.

Con questo termine facciamo riferimento ad uno degli attuali “bisogni sociali”, cioè quello di essere originali, sinceri, autentici, fedeli a se stessi. Il centro dell’esistenza diviene, dunque, l’identità individualizzata, esponendo la persona a gravi rischi, connessi con il desiderio di una sfrenata esaltazione del sé. Infatti mai come adesso le persone sono in balia di oscillazioni tra onnipotenza/impotenza, forza e fragilità.

Il cambiamento culturale e, di conseguenza, mentale e psicologico, introdotto dall’individualismo “radicale”, è molto potente. La guida che in precedenza era fornita dalla religione, dall’ideologia, dallo stato, dalla famiglia, ora può venire soltanto dall’interno. L’ideale dell’unicità impegna i giovani in un difficile compito che comporta l’abbandono del modello paterno/materno, del mestiere dei genitori, dei consigli degli altri significativi. Le nuove generazioni devono rifiutare il conformismo, perseguendo un’originalità che rigetta ogni modello preesistente. Questa grande aspirazione pone, in modo esponenziale, la persona di fronte al rischio di rovinose cadute, proprio in virtù delle aspettative eccessive.

Inoltre, c’è un altro fattore di rischio che questo nuovo modello culturale produce, connesso con il bisogno di visibilità e di riconoscimento. L’identità che cerca l’unicità ha comunque bisogno degli altri. Infatti, il giovane adulto deve costantemente monitorare il proprio ambiente sociale nel tentativo di influenzarlo; solo influenzando gli altri è possibile riconoscersi come autentici e singolari. Un’identità prodotta interiormente, personale e originale, non ha alcun riconoscimento a priori ma deve conquistarselo continuamente attraverso lo scambio con l’altro. L’ “essere” non è più garantito in partenza, non è più determinato dal rispetto delle regole, dall’appartenenza ad un gruppo sociale. Quanto più una persona aspira ad essere unica tanto più dipende dagli altri. Così facendo l’identità delle persone, il bene più prezioso per l’individuo, è esposta costantemente al rischio del fallimento, rendendola precaria.

La precarietà del riconoscimento sociale va molto al di là, nei suoi aspetti destabilizzanti, della precarietà del lavoro o delle relazioni sentimentali, che rappresentano, purtroppo, due “must” nell’epoca moderna. L’essere precario finisce con il coinvolgere l’elemento più centrale rispetto alla costruzione di una positiva immagine di sé. Di fronte al ribaltamento della logica dell’appartenenza (“sono perché condivido”) a favore del “sistema dell’unicità”, non sorprende che i genitori non capiscano che cosa i loro figli vadano cercando. Nell’arco di poche generazioni i bisogni sono cambiati. La struttura sociale non premia più (o almeno soprattutto) l’operosità, l’onestà o il sapere ma il successo e la visibilità, garantite da social network e televisioni. La fonte del nuovo potere sono i media e in modo sempre maggiore i nuovi media (basti pensare alla popolarità del M5S).

Se sono visibilità e successo le fondamenta dell’identità che cosa sarà pronta a fare una persona per ottenerne?