La famiglia adolescente

Relativamente all’ “adolescente” sono stati scritti numerosi contributi rispetto alla centralità dei cambiamenti fisici, relazionali, sociali di questa fase dello sviluppo e su come tali mutamenti influenzino la crescita psicologica. Spesso l’adolescente è definito come colui che comincia a guardare oltre l’ambito familiare, distaccandosi dai legami genitoriali per provare a ricostruirli in modo diverso. A mio avviso questa affermazione è vera, anche se solo in parte. Infatti evidenze empiriche e cliniche, osservate “sul campo”, sottolineano che una buona parte dei processi trasformativi ed evolutivi tipici di questa fase hanno luogo in famiglia, coinvolgendola nella sua interezza.

 

Il raggiungimento dell’età adulta come sforzo collettivo

Il ruolo fondamentale della famiglia nel percorso adolescenziale si è reso evidente soprattutto negli ultimi anni, in rapporto ai cambiamenti economici e sociali attualmente in gioco nel nostro contesto culturale (povertà sempre più diffusa, crisi del mercato del lavoro, ecc.), che hanno prolungato la permanenza dei ragazzi nel nucleo familiare. Numerosi autori (Youniss 1985; Scabini, 1995) collegano la capacità di un adeguato sviluppo adolescenziale con la possibilità che la famiglia ha di accoglierlo. Infatti la trasformazione in questione non riguarda soltanto il singolo individuo ma l’intero sistema di relazioni in cui l’adolescente è inserito. I cambiamenti dell’adolescente non lasciano immutato il contesto familiare e la conflittualità che egli sperimenta tra bisogni di autonomia e protezione investono tutta la famiglia, esprimendosi attraverso varie forme di comunicazione verbale (silenzi, aumento dei conflitti, provocazioni, aggressività) e non verbale (modo di vestire, gestire gli spazi domestici, rapporto con il cibo, atteggiamento). Tali modalità di comportamento portano la famiglia a doversi riorganizzare ed a rinegoziare i legami reciproci. In modo più specifico possiamo dire che, nella fase adolescenziale, il sistema familiare è sottoposto all’azione di due “forze” contrapposte: una che spinge l’adolescente verso l’esterno, assecondandone il bisogno di autonomia, indipendenza ed individualità; un’altra forza invece muove verso l’interno, in direzione della coesione, del rafforzamento dei legami di dipendenza, attivata dal timore del cambiamento (Minuchin, 1974). Questo processo porta inevitabilmente ogni membro a “mettersi in gioco”, a ripensare le proprie funzioni all’interno della famiglia, a porsi domande sul futuro.

 

Parola d’ordine: flessibilità

Le due forze a cui la famiglia si trova potentemente assoggettata possono essere definite individualità e coesione. Con il concetto di individualità si fa riferimento all’affermazione di sé, intesa come capacità del singolo di mantenere un proprio punto di vista e di esplicitarlo, e alla separatezza, cioè la capacità di affermare la propria diversità dagli altri. La coesione, invece fa riferimento alla permeabilità, definita come la capacità di rispondere ai punti di vista degli altri, e la reciprocità, intesa come sensibilità e rispetto nel rapporto con i vari membri. La capacità della famiglia di stare in equilibrio tra questi due fattori definisce la qualità dell’ambiente educativo all’interno del quale l’adolescente cresce. Non a caso parliamo di flessibilità, in quanto la capacità di conciliare livelli moderati di individualità e coesione consente ai soggetti adolescenti di rendersi autonomi pur mantenendo un senso di appartenenza. Le condizioni maggiormente a rischio sono collegate a contesti familiari che si situano in posizioni estreme rispetto ai due poli: vale a dire le famiglie incentrate sulla coesione (definite “invischianti”) hanno fortissimi legami di dipendenza, tutti la pensano allo stesso modo, “tutto deve essere uguale per tutti” e non viene accettata la differenza; le famiglie marcatamente spostate sul lato dell’individualità (definite “disimpegnate”), invece, rendono complicato lo sviluppo di un senso di appartenenza ed i membri sono focalizzati esclusivamente su se stessi, con poche possibilità di influenza l’uno sull’altro. Una posizione flessibile consente all’adolescente, che si sta sperimentando nella società come entità adulta, di tornare nel nucleo familiare per confrontarsi con i modelli genitoriali senza paura di venirne frustrato. Come l’esperienza di tanti genitori ci può testimoniare, l’adolescente non accetta “di buon grado” la prospettiva genitoriale ma non per questo si deve correre il rischio di sentire il ruolo genitoriale come inutile.

 

Il conflitto come confronto positivo

In quest’ottica, il conflitto rispetto ai valori genitoriali può avere un significato altamente positivo. Nel momento in cui non si cronicizza creando immobilità, il conflitto diventa per l’adolescente un occasione per conoscere meglio se stesso, per confrontarsi con le idee dei genitori, definendosi ai loro occhi. Attraverso il conflitto l’adolescente ha la capacità di apprendere alcune fondamentali abilità sociali come la capacità di comunicazione, l’ascolto, la negoziazione dei punti di vista, l’elaborazione di strategie di soluzione dei problemi (problem solving). In particolare il conflitto assume un’accezione positiva nel momento in cui l’adolescente può sperimentare un senso di coesione relazionale, definita in termini di confidenza ed intimità. Le relazioni familiari prive di conflitto apparente possono essere indice di una conflittualità molto forte che rimane inespressa proprio per il timore di cambiamento che, inevitabilmente, ogni litigio suscita; a lungo andare questo tipo di evitamento del conflitto finisce per ostacolare il processo di individuazione dell’adolescente.

 

L’adolescenza dei figli e l’adolescenza dei genitori

All’interno dei processi relazionali familiari si agitano non solo i desideri, le paure, i bisogni e le aspettative dell’adolescente ma anche quelle dei genitori. Infatti l’adolescenza dei figli rimanda al genitore l’idea del tempo che passa e la fase di progettualità autonoma del ragazzo/a coincide spesso con un momento di bilancio all’interno della coppia. “Siamo stati una coppia adeguata? Genitori adeguati? Ci siamo realizzati in ambito professionale?”, sono domande frequenti per gli adulti in questo periodo di vita. Inoltre, nei genitori i cambiamenti dei figli fanno riaffiorare ricordi sulla propria adolescenza che sembravano sopiti, portandoli a rivedere i rapporti con i propri genitori, con conflitti anche di elevata intensità. Infine l’adolescenza dei figli è un occasione per entrambi i coniugi per ridefinirsi come coppia sessuata e non solo come coppia genitoriale. Marito e moglie si rendono conto che in futuro dovranno investire sempre di più in termini di sostegno reciproco e questo passaggio è estremamente difficoltoso per quegli adulti che si sono identificati soprattutto nel ruolo di genitori, svuotando di significato la coppia in sé. Appare dunque chiaro che l’adolescenza non coinvolge solo i figli e che i compiti di sviluppo riguardano l’intero nucleo familiare; per questo ci piace parlare di famiglia adolescente.

2 Risposte a “La famiglia adolescente”

  1. Ringrazio il collega Mori per la stesura di questo chiaro ed efficace articolo! vorrei sottolineare anche un aspetto da tenere in considerazione nella relazione genitore-figlio adolescente: ossia il genitore padre-madre, che deve assolvere ad ambedue le funzioni a causa della perdita (es. lutto) del compagno/a.
    Questi casi presentano la loro parte di complessità, soprattutto per quanto riguarda la riorganizzazione dei ruoli, delle regole, della comunicazione.
    Penso che se ne dovrebbe fare una trattazione a parte.

    1. Concordo con lei dott.ssa,
      oltre ai casi estremi di lutto, con tutte le conseguenze psicologiche che la perdita assoluta di un genitore produce nei sopravvissuti, la crisi dell’istituzione familiare (siamo vicini al 50% delle rotture matrimoniali) rende il suo spunto quanto mai necessario e attuale. Spesso sono le madri che con estrema difficoltà devono reinventarsi in una doppia “identità educativa”.
      Mi metterò a lavoro!

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