Dormire nel “lettone”, quali conseguenze?

Con un po’ di attenzione e di buona volontà si può sfuggire all’inconveniente di avere figli. Buona volontà e attenzione non bastano per sfuggire all’inconveniente di avere genitori.

Francesco BurdinUn milione di giorni, 2001

 

Figli

La nostra epoca è quella in cui la cura dei figli da parte dei genitori ha raggiunto livelli mai dati nella storia della vita familiare. Adesso i figli sono sempre più “programmati”, sempre più “unici” (gli ultimi dati ISTAT evidenziano come siano essenzialmente gli immigrati ad incrementare il livello delle nascite), sempre più avvolti in un “aurea protettiva”  da parte delle famiglie, trasformatesi da luogo della trasmissione di regole a spazio di ascolto e condivisione. Oggi i genitori sono più attenti e sensibili; dispongono di strumenti, studi, libri e specialisti come mai avvenuto nelle generazioni precedenti. Eppure qualcosa non funziona, l’esigenza di essere rassicurati per il bene della prole è diventato un interrogativo che potremmo definire culturale.

A sostegno di questo argomento vengono i dati di un inchiesta condotta nel 2010, effettuata dal CPP (Centro Psicopedagogico per la Pace), che ha cercato di cogliere i parametri educativi delle famiglie italiane, rivolgendosi ad un cospicuo numero di coppie con figli di età non superiore ai 6/7 anni. Con particolare attenzione è stata valutata la permanenza “tardiva” (oltre il quarto anno) nel lettone da parte dei figli. Ciò che è emerso è molto interessante.

Più del 20% (uno su cinque!) dei bambini di 6 anni dorme stabilmente a letto con i genitori, mentre il 40% lo occupa a volte. Nel momento in cui si considerano assieme entrambi i dati si ottiene la seguente informazione: circa il 60% dei bambini di 6/7 anni di tende a dormire in maniera più o meno sistematica nel lettone.

Il primo anno di vita risulta fondamentale per l’attaccamento e la maturazione di un’adeguata percezione di sé ed è importante che l’accudimento materno sia, in questa fase, “quasi totale” ed esclusivo. Da questo dipende la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino. In questo momento dello sviluppo dormire nel lettone non rappresenta in astratto un problema. Verso il quarto anno di vita, però, il bambino entra in una fase importante della crescita, fondamentale per lo sviluppo dell’identità, della sua capacità di separazione dalle figure adulte ed in particolare da quella materna. E’ a partire da questa età (sempre generalizzando) che il “problema lettone” può essere cogente. Vediamo di esplorarlo in modo più dettagliato.

La camera da letto, l’alcova, è il luogo dell’intimità, anche sessuale, per la coppia genitoriale e, quando si parla di dormire nel lettone oltre una certa età, facciamo riferimento a bambini che in qualche modo si inseriscono in questa intimità genitoriale, con un potenziale effetto disturbante anche per la qualità di vita della coppia.

Inoltre a partire dai 3/4 anni il bambino si trova in quella che la psicoanalisi classica definisce “fase edipica” e, senza voler entrare nel merito di un’analisi del concetto di “complesso edipico”, può essere importante considerare la necessità pedagogica di una certa dose di frustrazione che il bambino deve sperimentare in tale momento dello sviluppo. E’ fondamentale che il bisogno dell’infante di stare con la madre, di avere una relazione simbiotica con lei, non sia soddisfatto, altrimenti il rischio è che questo rapporto assuma connotati morbosi. Di norma spetta al padre fare questo o, per lo meno, a chi nella coppia assolve alla funzione del “codice paterno”. Con quest’ultimo termine ci riferiamo alla funzione regolativa e normativa, al conseguimento e alla stimolazione dell’autonomia, al raggiungimento, attraverso la separazione, delle potenzialità evolutive del “piccolo”. Esso si contrappone, integrandosi, con il codice materno che svolge il compito di accadimento, protezione cura e soddisfazione dei bisogni.

 

Per un adeguato sviluppo psicologico è fondamentale che la psiche, proprio a partire dai tre-quattro anni, inizi, attraverso la frustrazione dei bisogni fusionali, ad elaborare le differenze adulto-bambino, maschio-femmina, affrontando i limiti imposti dalla realtà e scoprendo l’esistenza di una rete di divieti a partire dai quali l’individualità potrà crescere.

La difficoltà per i bambini che rimangono nel lettone è legata all’incapacità di percepire i propri limiti. Nel momento in cui si vuole preservare il bambino dalla frustrazione “dell’impedimento” si rafforza in lui l’idea di un essere onnipotente, un individuo che può tutto. Questo andrà con molto probabilità ad intaccare la capacità che il futuro adolescente ha di sostenere le difficoltà, l’impegno e lo sforzo, competenze essenziali nella vita adulta.

Dunque a chi serve la vicinanza del bambino anche nelle situazioni di intimità di coppia. Forse più ai consorti che temono di doversi ri-confrontare con la loro identità di coniugi non (solo) genitori. Di sicuro non ai bambini.