Autismo, quale intervento?

Oggi vorrei affrontare un tema diverso, quello dell’Autismo e delle possibilità di intervento psicologico su questa patologia infantile. Le ragioni di questa scelta sono molteplici; nella mia esperienza clinica mi sono occupato in più di una circostanza del problema, sia in bambini che in adolescenti finanche in persone adulte. Dunque la conosco. Inoltre mi preme pubblicizzare un’iniziativa, un convegno che oggi viene tenuto a Siena, Palazzo Patrizi ore 15:00, ed organizzato dall’associazione “Piccolo Principe” che appunto si occupa del problema Autismo. Da un punto di vista strettamente descrittivo la patologia è estremamente eterogenea; attualmente il DSM IV (Manuale diagnostico APA) parla di Disturbi Pervasivi dello Sviluppo di cui l’Autismo ne rappresenta una fetta. Ciò che accomuna i disturbi dello “Spettro Autistico” è:

1. Alterazione e distorsione delle relazioni sociali.

2. Alterazione e compromissione della comunicazione (verbale e non verbale).

3. Marcata restrizione del repertorio di attività ed interessi.

Queste linee guida per la diagnosi sono accompagnate da indicazioni più precise per la categorizzazione del problema singolo all’interno di una delle quattro aree che costituiscono lo Spettro Autistico: Disturbo Autistico, Disturbo di Rett, Disturbo Disintegrativo, Disturbo di Asperger. Ciò che mi preme aggiungere e che deriva dalla mia esperienza sul campo con persone, soprattutto bambini, a cui è stata attribuita questa infausta diagnosi è la presenza nella loro storia di traumi molto precoci. Ad esempio il lutto di un genitore nei primi mesi di vita, la presenza di gravi patologie psichiatriche in almeno un membro della coppia genitoriale, l’abbandono del nucleo familiare da parte del padre o della madre. Sottolineo questo perché molti degli studi che attualmente riguardano le cause dell’Autismo fanno riferimento a problemi neurologici/genetici. In realtà ritengo che questi eventuali “deficit fisiologici” non riescano a spiegare in toto lo sviluppo della patologia. All’interno di una visione complessa della genesi del disturbo ritengo più appropriata, per spiegare la genesi della “malattia”, una teoria più generale definita diatesi/stress. Secondo questo modello il disturbo clinico è il risultato dell’interazione tra una pluralità di fattori di cui quelli biologici ne costituiscono solo una parte ed ai quali si aggiungono quelli psicologici ed ambientali. Questo risulta molto importante per due ragioni. In primo luogo ci permette di individuare situazioni a rischio orientando interventi possibili di prevenzione. Ad esempio in presenza di traumi precoci nel contesto familiare o sociale in cui il neonato è inserito, tali da mettere a rischio la qualità delle prime interazioni sociali di cui il soggetto ha assoluto bisogno per un “sano” sviluppo, potremmo ipotizzare interventi di sostegno al nucleo genitoriale.

In secondo luogo adottare una visione più complessa del problema ci consente di pensare  ad interventi più efficaci che non coinvolgano soltanto il bambino ma anche il contesto all’interno del quale è inserito. Questo a mio avviso significa accompagnare le classiche terapie volte a mitigare l’isolamento, le stereotipie e i deficit relazionali (siano esse di natura farmacologica e/o psicologica) con interventi psicoterapici o di sostegno rivolti alle famiglie in modo tale che essi siano protratti nel tempo e tengano conto dei peculiari bisogni di sviluppo di ciascuno membro. Questo significa spostare il focus dal bambino al contesto di vita, inclusa anche la scuola, dato che sé esso contribuisce alla genesi del disturbo può anche essere utile strumento terapeutico.

Una risposta a “Autismo, quale intervento?”

  1. Buongiorno sono Marco, genitore di un figlio autistico, ritengo che la posizione presa dal dr Mori sia utile per una serie di motivi:
    1. Intanto può aiutare a spostare il problema dal singolo alla famiglia contribuendo a far capire ai genitori che la principale risorsa per la cura dei figli sono loro.
    2. Può aiutare a pensare in termini di integrazione tra micromondi un problema che spesso è confinato dentro i figli
    3. Favorisce una maggiore presa di responsabilità in termini comunitari dell’autismo

    Tuttavia vorrei sentir parlare dell’autismo non solo come problema infantile ma come un disturbo che riguarda l’intero arco della vita. I nostri figli infatti diventeranno adulti un giorno.

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