Abbuffate. Le caratteristiche del “Binge Eating Disorder”

I disturbi dell’alimentazione più frequenti sono l’Anoressia nervosa e la Bulimia: la prima caratterizzata dall’ossessione di mantenere un peso corporeo al di sotto di quello minimo normale, la seconda contraddistinta soprattutto da ricorrenti “abbuffate”, seguite da condotte di compensazione (vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici, digiuno o attività fisica praticati in maniera eccessiva) attuate allo scopo di non prendere kg. Entrambe queste problematiche di origine psicologica si fondano su un’alterata percezione della propria immagine corporea e del peso (molte persone si percepiscono grasse anche se sono emaciate).

Risulta spesso difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra Anoressia e Bulimia; molti autori hanno evidenziato che esiste una sovrapposizione nel 50% dei casi, dove il sintomo maggiormente condivisibile è rappresentato proprio dalle abbuffate. Tale problema si presenta, in ogni caso, anche isolato dai più celebri disturbi alimentari sopracitati, prendendo il nome clinico di “abbuffata compulsiva” (Binge Eating Disorder). Si tratta di un fenomeno che ha una forte incidenza sulla popolazione generale, anche se occorre ricordare che molti non arrivano mai a consultarsi con uno specialista, sottraendosi dalle stime. Normalmente un “binge eater” riferisce di consumare una grande quantità di cibo in un tempo limitato, durante il quale percepisce una totale perdita di controllo, ovvero la spiacevole sensazione di fare qualcosa che non si dovrebbe fare, ma che non si riesce ad evitare, insieme al godimento e alla pena legati al fatto.

La ricerca internazionale è concorde nell’attribuire una pluralità di fattori che, con maggiore o minore incidenza, a seconda dei casi, possono essere alla base del problema:

1) Fattori predisponenti, cioè aspetti “interni”, che riguardano la struttura psicologica dell’individuo, e che predispongono il soggetto ad alcune difficoltà psicologiche, tra cui il Binge Eating:

– una persistente sensazione di insoddisfazione, caratterizzata da scarsa autostima, pensieri di svalutazione o di fallimento;

– la tendenza al perfezionismo, caratteristiche che predispongono alle restrizioni dietetiche e al bisogno di controllo, per ottenere il quale si deve agire sul peso e sulla forma del corpo;

– il funzionamento familiare;

– la tendenza ad escludere le emozioni dolorose, spesso attraverso la messa in atto di comportamenti impulsivi;

2) Specifici stimoli attivanti, si tratta di elementi “esterni”, più immediati, in grado di partecipare alla crisi bulimica. Sono raggruppati in due grandi categorie:

– craving per il cibo, che deriva dagli sforzi estremi  tesi al controllo del peso. La dieta, infatti, spesso pre-esiste al Binge eating, contribuendo a causarlo, promuovendo uno stile alimentare strettamente regolato che incrementa il rischio di abbuffate.

– stati emotivi negativi, abbassamento dell’umore, ansia, disforia, anche momentanea, tendono a precipitare la crisi bulimica, la quale diviene una sorta di via di fuga dai sentimenti negativi.

Nel breve periodo l’abbuffata può essere considerata un meccanismo di difesa che permette all’individuo un sollievo temporaneo dalla percezione negativa di sé e dei propri sentimenti. Si tratta però di una tregua transitoria che, al contrario, finisce per impedire al soggetto di mettere in pratica strategie più congrue.
Nel lungo periodo il Binge Eating intensifica le sensazioni di colpa, di disgusto di sé, di perdita di controllo. Da un punto di vista strettamente medico, le “abbuffate compulsive”, sfociano spesso nell’obesità, generando problematiche consequenziali, come ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari.

Le strategie terapeutiche per questa patologia si fondano sull’acquisizione di una serie di abilità:

1.    individuare le emozioni e gli stimoli esterni che innescano l’abbuffata;

2.    acquisire strategie alternative per fronteggiare queste emozioni;

3.    imparare ad esprimere verbalmente i sentimenti negativi;

4.    attuare un automonitoraggio delle proprie abitudini alimentari;

Ognuno di questi punti non rappresenta una “ricetta preconfezionata”, utile indiscriminatamente per tutti; ma si basa su un processo di conoscenza approfondita delle caratteristiche della singola persona e dei problemi relazionali collegati con il sintomo.